23 feb 2010

La cosa giusta a "Sguardi di cinema italiano"

Grande successo di pubblico per il film "La cosa giusta" al Festival "Sguardi di cinema italiano".
6 proiezioni in 2 giorni, seguite da vivaci incontri del regista e dell'attore Ahmed Hafiene con il numeroso pubblico presente in sala.

A questo indirizzo potete leggere il gradimento espresso dalla giuria del pubblico di Sguardi.

11 feb 2010

Recensione del film / Recencinema

http://www.recencinema.com/la-cosa-giusta.html

Il film di Campogiani non va sottovalutato, la sua struttura regge in qualità di un plot narrativo improntato su caratteristiche basilari quali linearità, solido intreccio e sviluppo suggestivo di indubbio coinvolgimento emotivo, tutti aspetti inscritti in un contesto registico disciplinato e accademicamente ben interpretato.
L’incipit della storia è un classico caso di “actio in medias res”, dove la vicenda parte già avviata per poi trovare i doverosi chiarimenti in un lungo flashback intriso di mistero e nostalgia. La cura delle scene è evidentemente il principio del lavoro di Campogiani, il quale trova nello studio della singola inquadratura un aspetto fondamentale per pervenire ad un tutto coeso, unitario e sufficientemente esaustivo. A tal proposito le prime inquadrature recano in sé un forte barocchismo cromatico dal notevole risalto, dovuto ai colori vivi del paesaggio urbano tunisino. Il protagonista Eugenio si immerge con disinvoltura in un backround culturale tipicamente nord africano, dove l’importanza del parlato (in questo caso gli idiomi francese e arabo) si rivela a dir poco indispensabile ai fini di un’integrazione seppur occasionale. Proprio il realismo linguistico si dimostra una delle chiavi di volta presenti nel film al fine di comprenderne lo spirito e i vari significanti concettuali. La panoramica descrittiva, che normalmente aderisce ad un discorso di tecnica registica puramente visiva, qui ha la funzione di raccordo che dà di fatto il via alla digressione narrativa contestualizzante. Campogiani adotta uno stile impregnato di momenti di riflessione e attimi meditati, ragion per cui i movimenti di macchina risultano lenti, controllati e in un certo qual modo idealmente riposanti. Per approdare ad un discorso cinematografico completo e ammirevole occorre toccare tappe già percorse ma sicure, il regista quindi utilizza il gioco dei campi e controcampi per mettere in scena dialoghi medio lunghi e non annoiare lo spettatore con rischiose fissità. Dall’incontro fra Eugenio e Duccio inizia quello che si manifesterà come un sottile conflitto inscritto in una logica di coppia, dove si origina un attrito palese fra contesto pubblico e privato: il dovere dell’incarico affidato a Eugenio si scontra con la mite favola sentimentale che intercorre fra il ragazzo e la compagna Serena. Con riconosciuto acume, Campogiani prima descrive una sequenza dai toni caldi e intimi, poi catapulta lo spettatore in un inverno che riflette la dura sussistenza del reale. Il regista dimostra di avere molte idee da sviluppare attraverso un effetto cornice nel quale entrano dialoghi ampiamente rilevanti che coinvolgono i due poliziotti in relazione a diversi argomenti, uno dei quali la volontà di Eugenio di studiare e laurearsi. La linea del tempo è rispettata senza distorsioni tramite dissolvenze incrociate che danno l’idea dell’attesa e di una chiara percezione. Segue una profonda immersione nella realtà cittadina di Torino (dove la storia è di fatto ambientata e filmicamente girata), nel cui insieme urbano ha luogo il pedinamento di Khalid: Eugenio e Duccio lo inseguono fra i mercati di Porta Palazzo, in Piazza Castello, in Piazza San Carlo, per concludersi dove dimora il sospettato tunisino, nel quartiere delle Vallette. Dalla vicenda, che assume risvolti sempre contenuti ma curiosi, si evince l’importanza del rapporto umano che coinvolge il trio di personaggi, in un clima di dolcezza e rabbia, di sospetti e dubbi, di genuinità e sincerità sospesi sul filo della subdola natura spesso volubile dell’individuo. Kahlid sembra dar la sensazione di strumentalizzare parole forti, originando una diatriba a proposito della differenza fra i concetti di “guerriero” e “terrorista”. Campogiani alza il sipario sul reale argomento trattato, cioè il problematico e complesso contatto fra culture diverse poiché bisognose di diverse interpretazioni. La lotta tra opprimenti pregiudizi e tentativi di libera sincerità scatena profondi stati di imbarazzo e disagio sfocianti, ad esempio, nel frammentato silenzio durante il pranzo in casa di Khalid, dove appare troppo labile il confine che separa la battuta scherzosa dall’offesa. Che poi si parli di dilemmi accusatori o lievi frecciate alla condotta statunitense nella lotta al terrorismo (da ascoltare il discorso relativo a Guantanamo), ciò che emerge è un gioco di sostanziali addii senza un vero e proprio epilogo. Campogiani si fa apprezzare per la sua ottica complessiva, una prospettiva d’ampio respiro nella quale il finale è soltanto subdorato, ma rimane incerto per il semplice fatto che non è necessario per lo spettatore proseguire l’indagine: la storia non è poliziesca, non è comica, è vigorosamente e autenticamente umana. Il significato risiede nella poetica del titolo attribuito al film, “La cosa giusta” coincide con quella scelta introspettiva che oltrepassa i luoghi comuni in virtù di una presa di posizione al di là delle considerazioni e dei giudizi nell’usuale modo di pensare, un discorso basato sulla fiducia. La componente umana diviene essenza in una storia che deve essere compresa in tutta la sua forza e in tutta la sua comunicatività espressiva. Un plauso va riservato al trio di attori Paolo Briguglia, Ennio Fantastichini e Ahmed Hafiene, capaci di infondere ai propri personaggi una connotazione marcatamente personale in aderenza al dramma descritto. Ottima la colonna sonora di Teho Teardo, più precisamente un commento musicale che fornisce il giusto ritmo e conferisce valore aggiunto alla storia, raccontata da Campogiani con sensibilità e profondo senso di riflessione.

10 feb 2010

"Il sorvegliato speciale mise la freccia" - una recensione

http://www.criticon.it/scheda_film.php?idSF=380

"Parte da una trovata buffa questo interessante ma invisibile film diretto da Marco Campogiani... che affronta con attenzione, leggerezza e serietà temi spinosi e attuali come l'integrazione e la diffidenza verso gli stranieri..."


9 feb 2010

Recensione

http://tomobiki.blogspot.com/

La cosa giusta
di Marco Campogiani – Italia 2009
con Paolo Briguglia, Ennio Fantastichini
**1/2

Eugenio, agente di polizia alle prime armi ma avviato a una carriera brillante e con un matrimonio e una laurea in vista, viene dapprima incaricato di sorvegliare di nascosto (insieme a Duccio, un collega più anziano ed esperto) un immigrato tunisimo sospettato di fiancheggiare alcuni terroristi internazionali, e poi – dopo che l'uomo si è accorto del pedinamento ed è entrato in contatto con i due poliziotti – addirittura di fargli da scorta. La vicinanza con l'indecifrabile Khalid porterà Eugenio a simpatizzare con lui, complice anche una certa sensibilità verso la sua cultura d'origine (ha studiato e parla perfettamente l'arabo), il desiderio di comprendere il "diverso" e l'insofferenza verso pregiudizi e prevaricazioni. Ma ne farà le spese, scoprendo che ci sono barriere che la società non permette di oltrepassare. Il primo lungometraggio di Campogiani (ispirato a un fatto di cronaca reale) è un poliziesco atipico e interessante, con toni più da commedia amara che da cinema di denuncia, e che fugge dai luoghi comuni del genere: anziché sull'esasperazione drammatica della vicenda, con sequenze d'azione o colpi di scena rivelatori (fino alla fine si rimane con il dubbio se Khalid sia innocente o colpevole), punta sulla rappresentazione di una realtà complessa e sfaccettata, sulla caratterizzazione dei personaggi e soprattutto sui rapporti che intercorrono fra loro. I protagonisti vorrebbero instaurare relazioni "umane", ma sono prigionieri dei rispettivi ruoli professionali e sociali, che li trasformano in ingranaggi di un meccanismo inesplicabile e sfuggente. Il giovane Eugenio si illude che l'amicizia e la simpatia possano aiutare a uscire da questi compartimenti stagni, mentre il più navigato e pratico Duccio si fa meno illusioni, a costo di apparire più cinico di quanto non sia. E il confronto finale fra i due all'aeroporto di Tunisi non può che essere foriero di nuovi dubbi, nonostante i personaggi siano avvolti in una luce calda che contrasta col clima freddo di Torino, dove si svolge gran parte della storia. Ottima la confezione e bravi gli attori: su tutti mi sono piaciuti Fantastichini (nei panni di Duccio) e Camilla Filippi (la fidanzata e poi moglie di Eugenio).
Christian 

8 feb 2010

La recensione di ZabriskiePoint.net

http://www.zabriskiepoint.net/node/9409

Di Ilaria Mutti

Novanta minuti di domande, di dubbi e di sospetti. Eugenio Fusco è un giovane poliziotto, con tanti ideali e non senza ambizioni. Preparato, curioso, impegnato nel lavoro, ma anche proiettato verso il matrimonio con Serena e pronto a laurearsi, sia pure in ritardo. Dopo un esame di arabo, che studia con la speranza di un avanzamento in carriera, Eugenio si trova coinvolto in un'indagine su Khalid Amrazel, un tunisino, sospettato di appoggiare una cellula terroristica e appena scarcerato per decisione del GUP, ma in attesa di sentenza.

Duccio Monti è l'ispettore che affianca il giovane poliziotto, un uomo di esperienza, cinico e pratico. Inizialmente i rapporti fra i due sono difficili, Duccio fa pesare il suo background ed Eugenio invece lo fa sentire "superato". Con queste premesse inizia il pedinamento del pregiudicato, ma soprattutto inizia la conoscenza, attraverso liti e disaccordi, che porta i due poliziotti a conoscersi e pian piano ad accettarsi. Proprio durante uno degli scontri fra Duccio ed Eugenio, Khalid, da tempo consapevole di essere seguito decide di troncare la "farsa". Si avvicina, si presenta e il pedinamento è finito. È la rottura della "parete", non solo quella fra i "buoni e cattivi", ma anche quella tra etnie e modi di pensare differenti. La prospettiva è cambiata, ma i dubbi aumentano. Khalid è davvero pericoloso? È davvero il cattivo o è solo una vittima di un sistema che piuttosto che scoprire la verità preferisce accusare e affermare il proprio potere?
Una potente sceneggiatura che àncora lo spettatore alla storia e lo getta tra emozioni forti e ironia, che traccia un percorso logico e psicologico che dona ai personaggi spessore e complessità e li mostra forti e fragili allo stesso tempo. Poliziotti, ottimi professionisti si trovano tuttavia impreparati a gestire un rapporto con lo "straniero", un tunisino sospettato di terrorismo. Un incontro che comunque va a incidere sulle vite di tutti anche se i protagonisti sono spesso incapaci di spiegare a loro stessi e agli altri che l'umanità è al di sopra delle regole e l'amicizia abbatte ogni tipo di distanza: di lingua, di costume e di religione. La cosa giusta è una storia d'integrazione vista sotto la lente di una fiducia ancor più difficile da conquistare perché parte da due categorie, quella dei poliziotti e quella dei sospettati in lotta gli uni con gli altri. Ma finalmente la fiducia e la comprensione, spazzano via ogni ancestrale diffidenza.
Una regia ottima, misurata, leggera e intraprendente che accompagna i protagonisti in questo inseguimento e questa fuga dalle loro paure e dai loro preconcetti, per iniziare un viaggio fatto di molte domande e di nessuna risposta. Ognuno ha il suo percorso, spesso imprevedibile e sorprendente, accidentato e problematico, ma che perseguito con onestà e con determinazione porta alla scoperta di un nuovo universo interiore. Una bella storia che convince e che non cade mai nei soliti luoghi comuni, ma li aggira con originalità ribaltando le vicende dei personaggi e incastrandone una all'interno dell'altra come se l'intera struttura fosse un'enorme matrioska. Un film veloce e poetico al tempo stesso che è in costante metamorfosi tra azione, dramma e ironia senza che perda l'occasione per raccontare le emozioni. Un ottimo cast capace di confrontarsi con una storia difficile, in cui era fondamentale trovare il giusto ritmo e la giusta atmosfera, tra una Torino innevata e una Tunisi assolata, che rispecchiano a pieno le psicologie dei personaggi. Una direzione attenta quindi nel far emergere le singole capacità e di rimanere concentrata su un progetto complesso e in continua evoluzione. Un film da vivere più che da vedere per comprendere a pieno un lavoro che sembra già di un autore maturo.

Giudizio (max 5):
4 e mezzo

5 feb 2010

Intervista a Marco Campogiani, regista de "La cosa giusta"

http://cinefestival.blogosfere.it/2009/12/intervista-amara-a-marco-campogiani-regista-de-la-cosa-giusta.html


di Carlo Griseri

Ne abbiamo parlato durante il Torino Film Festival: La cosa giusta, film d'esordio di Marco Campogiani, è stato presentato tra gli applausi nella rassegna torinese (nel capoluogo 'sabaudo' è stato girato quasi interamente) alla presenza del regista e del cast, guidato da Ennio Fantastichini, Paolo Briguglia e Ahmed Hafiene.

Una fugace apparizione sugli schermi a fine novembre (i particolari qui sotto...) e nulla più: il film è una piacevole commedia, ottimamente recitata, con la capacità di far riflettere. Non un film perfetto, naturalmente (ma quanti ne escono in sala?), ma sicuramente un buon prodotto che si discosta anche dal 'solito' cinema italiano...

Per saperne di più, e per capire perché la vita in sala del film è durata così poco, abbiamo intervistato Marco Campogiani.

Iniziamo dalle note dolenti, la distribuzione, gestita in pochissime sale e per poco tempo: come si spiega questa scelta controproducente?

Non lo so. Non capisco. Se il film viene fatto uscire realmente in tre sale, il film sostanzialmente non viene fatto uscire, mi pare abbastanza chiaro ed evidente.
E che sale! A Roma ci accoglie l'Alhambra. Vivo a Roma, e confesso di andare spesso al cinema, ma ignoravo l'esistenza dell'Alhambra. E molti altri, molti cinefili, comunque tutti quelli a cui l'ho chiesto, ne ignorano ugualmente l'esistenza. Ora la conosco: all'ingresso troneggia una enorme scritta: “BAR CHIUSO”. E' una sala che va forse bene per la diffusione capillare sul territorio della duecentesima copia di un film conosciuto, ma – con tutta evidenza - del tutto INADATTA per il nostro film. Una sala – molto periferica, con un pubblico esclusivamente di quartiere - a partire dalla quale non vi è nessuna possibilità che si generi un qualche passaparola, in una grande città come Roma.
A Milano siamo usciti al Palestrina. A Torino eravamo al cinema Massimo, un'ottima multisala: peccato solo che, contemporaneamente, nelle altre due sale ci fosse una bellissima manifestazione, Sottodiciotto, con anteprime internazionali e incontri con grandi registi, tipo Mike Leigh. Gratuitamente!
Cosa significa questo? Significa far uscire un film in modo PESSIMO, mi pare chiaro. Non ho mai pensato che il film sarebbe uscito in un grande numero di copie, chiaro. Ma non avrei mai immaginato queste tre sale.
Pensavo che saremmo usciti in “buone sale”, nelle principali città italiane, magari a Roma e Milano in più di una sala, per dare la possibilità al film di vivere di passaparola. Speravo che ci fosse una strategia, un pensiero, dietro l'uscita.
Il film nel primo weekend incassa 2.900 euro. Rimane in queste sale qualche altro giorno, poi viene smontato. Qual è la strategia di questa uscita? Come è possibile provare a giocare la (difficile) partita con il pubblico italiano, in queste condizioni? Occorrerebbe chiederlo a Cinecittà Luce, “la società pubblica che opera come braccio operativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la cui missione è il sostegno alla cinematografia italiana” - così si legge nel sito ufficiale.
Tutto questo sarebbe forse comprensibile se il film fosse brutto, o meglio orrendo (e capita di vederne, anche ben distribuiti), ma ho ragione di credere, ascoltando quello che mi dicono gli spettatori, che il film non sia brutto.
Spero che sia ancora possibile fare qualcosa per questo film. Non mi capacito. Sono incredulo. So di non essere un caso isolato, un'eccezione negativa. Altri film non ce l'hanno neppure, una distribuzione. Però, semplicemente, non è una cosa giusta.

Il film al Torino Film Festival ha ottenuto ottimi riscontri, con le lodi anche del direttore Amelio: quali sono state le emozioni di quei giorni? Quale il suo ricordo dell'esperienza?

Il ricordo è quello del pubblico, della sala, delle proiezioni. Era il momento della verità, per me. Cosa ho fatto, davvero? Il film piace? Il film comunica? Che ne pensa il pubblico? Andiamo in sala e vediamo. Non avevo tanto paura, un po' di tensione, ma più che altro curiosità. La risposta mi è sembrata molto positiva. Il ricordo più netto è: “sentire il pubblico che ride”, vedere una persona che non conosco, tra il pubblico, piegarsi in due per le risate, per una cosa che abbiamo scritto io e Giovanni de Feo. E' stato davvero bello.
(Un film che adoro è “I dimenticati”, di Preston Sturges: verso la fine c'è questa scena, bellissima, dei carcerati (tra cui il protagonista, un regista che vuol fare film di contenuto e tema “sociale”, “impegnato”, per le tante persone povere) che vedono un film, dei cartoni animati Disney, in una chiesa-cinema, e ridono a crepapelle, e anche il protagonista-regista ride con loro, contagiato).
Il ricordo di Torino però si mescola all'incredulità per quello che è successo dopo. E' questo che non capisco: il film, in realtà, la partita col pubblico l'ha affrontata. E in una sala, con il pubblico, "si sente la sala", si sente come reagisce il pubblico, se si annoia, se dorme, se ride, se sbuffa. A me, e a molti altri, la proiezione a Torino ha dato l'impressione - NETTA - che il film piaccia. Bene. E la cosa si è ripetuta nelle altre proiezioni, a Torino. Molto bene. Non spetta a me giudicare se il film è bello (per me è bello, ovvio). Però mi pare che la storia comunichi, che “arrivi” al pubblico; ed è anche per questo motivo che si fanno i film, no? Non solo per esprimere la propria ineguagliabile autorialità. E' il mio primo film e, mi pare, comunica con larghissima parte del pubblico. C'è da esserne contenti. Sono abbastanza soddisfatto. Bene. Però poi al film non viene data, come ho detto, la possibilità di essere ulteriormente visto. Perché?

Note di merito sono state fatte anche alla scelta di casting: come ha scelto i suoi attori? Come giudica il loro lavoro in questo film?



Il casting è stato curato da Elisabetta Giacomelli. Insieme a lei, grazie al suo aiuto, abbiamo cercato attori e attrici. Abbiamo avuto degli incontri. Sono molto contento di aver lavorato con Camilla Filippi e Samya Abbary, i due ruoli femminili. E i tre interpreti maschili sono, a mio parere, quanto di meglio potevo sperare. Temevo che Ennio - con la sua grande esperienza, con la sua storia attoriale - potesse crearmi dei problemi – io sono alla prima regia, inesperto – ma anche lui, come tutti, si è confermato un grande professionista. Gli attori sono stati davvero pazienti, amichevoli, simpatici. C'era davvero un buon clima, con loro, nel gelo di Torino.

Temi importanti trattati anche con un po' di leggerezza, per far pensare e far sorridere: come nasce l'idea del film?

L'idea del film nasce da un'immagine. Il pedinato che “mette la freccia”, con il braccio (come si fa in bicicletta) indicando a chi lo segue che sta per svoltare a destra. Un gesto ironico, quasi di irrisione, a indicare un rapporto inusuale, strano, tra chi segue e chi è seguito. Questa immagine è entrata poi nel film. 
E' da questa immagine che ho sviluppato il tono della storia: c'è un qualcosa di paradossale, di ironico, anche di “buffo”, nella vicenda. Almeno: con quest'occhio la volevo guardare, questo to lo sapevo dall'inizio. E' il tono che mi piaceva, è il tono che ritenevo anche efficace, per comunicare con il pubblico.
Ma la storia, in sé, è piuttosto dura. La vicenda narrata si ispira largamente a precisi fatti di cronaca, a una vicenda reale: 24 gennaio 2005.
Mohammed Daki, marocchino, rinchiuso da 22 mesi in carcere, con l'accusa di complicità nel terrorismo internazionale, viene rilasciato, con sentenza del GUP Clementina Forleo. Una sentenza discussa, forse discutibile, che genera polemiche, proteste dal mondo della politica. Fatto sta che quest'uomo è libero, ma lo si mantiene sorvegliato. Gli viene affiancata una scorta.
Vive a Reggio Emilia, e per diversi mesi vive sotto scorta, fino al processo che dovrà stabilire se è colpevole o innocente. Quest'uomo – un presunto terrorista - vive insieme alla sua scorta. 28 novembre 2005. Arriva la sentenza. Daki viene assolto. Alla fine della lettura della sentenza urla: “Viva l'Italia. Allah è grande. ”. E poi dice: "Sono contento. Grazie alla giustizia italiana... grazie a questi giudici che mi hanno riconosciuto innocente. Ho sempre pensato bene perché non sono un terrorista. Ora festeggerò con il mio avvocato e altra gente. Rimarrò in Italia. Voglio continuare a studiare e trovare un lavoro".
Inoltre Daki denuncia degli interrogatori irregolari. 10 dicembre 2005. Mohammed Daki viene espulso dall'Italia, “per motivi di sicurezza e ordine pubblico”, con decreto firmato dal Ministro dell'Interno. Viene imbarcato su un aereo a Malpensa. La parte conclusiva del film, gli ultimi 25/30 minuti, è invece di “pura finzione”, ma verosimile, in quanto “capita di frequente che persone espulse e rimpatriate con la motivazione di essere considerate pericolose per lo stato subiscano poi ulteriori controlli da parte delle autorità locali”.

Inevitabile chiederle del rapporto con Torino, che lei ha dichiarato conoscere poco ma che è così ben rappresentata nel film (tra l'altro l'omaggio è proseguito con i cameo di due 'torinesi' d'adozione come Vattimo e Tawfik).

E' stato molto bello girare a Torino, e in quelle condizioni atmosferiche. E' una città ospitale, per chi fa film. Avevo un po' paura della Torino “monumentale”, della Torino “bella”, storica. Avevo paura di fare delle cartoline di Torino. Così, anche per le esigenze della storia, siamo andati a cercare dei luoghi meno battuti (a parte l'esterno del carcere, lo confesso, che ho visto altre volte, anche in tv, ma non è che sia facile trovare un altro “esterno carcere” a Torino), meno battuti non solo dalla cinematografia, ma proprio meno frequentati dalle persone. Mi piaceva che fosse Khalid a condurre i due poliziotti in luoghi nei quali non sarebbero mai capitati, altrimenti

Progetti per il 2010? Nuovi film in programma?

Scrivo sceneggiature, ho altre idee. Vorrei capire bene, però, se è sensato cercare di fare film, in Italia. Lavorare ad un film, e poi vedere che questo film praticamente non viene distribuito, non gli viene consentito di entrare in contatto con un pubblico, non solo mi amareggia, ma mi fa riflettere.

1 feb 2010

""La cosa giusta" - I fatti di cronaca a cui si ispira il film

Per notizie essenziali sui fatti di cronaca a cui si ispira il film:

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/02/01/news/abuomar-sismi-2150647/

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/12_Dicembre/11/daki.shtml

http://www.repubblica.it/2005/l/sezioni/cronaca/daki1/daki1/daki1.html

http://www.siatec.net/bloggersperlapace/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=1418

http://www.rainews24.rai.it/it//news_print.php?newsid=58612